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Narcos 3×07 – Sin SalidaTEMPO DI LETTURA 5 min

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“War had returned to Colombia. Cocaine cartels are about succesion. The number two guys realize that the number one guys are on their way out. So they decided to speed things up. With Gilberto Rodriguez in jail, there was blood in the water and the blood begets more blood. I told you that Cali ran their empire like a business.”

Ancora sangue e cocaina. Ancora il gioco del gatto con i topo. Il cartello di Cali, dopo la carcerazione di Gilberto, ha iniziato un lento processo di decomposizione. Lo sparagmos, cioè lo squartamento dell’eroe nell’epica greca, è avviato e sembra non dare pace ai narcotrafficanti, sempre più nemici gli uni degli altri, sempre più desiderosi di prendere il posto di chi è caduto, sempre più bramosi di vendetta. Se nelle prime due stagioni Narcos si concentrava, grazie all’interpretazione del bravissimo Moura, intorno alla carismatica figura di Escobar, pieno di fascino e lucido nella sua follia, mettendogli tra le mani lo scettro del male assoluto, in questa terza stagione invece lo show è corale, non c’è un Pablo, c’è un intero mondo, un’organizzazione marcia nel profondo in cui corruzione e connivenza la fanno da padrone. E’ una terra in cui tutto va al contrario: i narcotrafficanti sembrano dei potenti che vivono indisturbati, detentori di una legge distorta e malata (ne è testimonianza la risoluzione dell’operazione segreta messa in piedi dall’agente), mentre gli uomini di legge sono depotenziati, bloccati, privati della loro autorità e delle loro armi.
Questa ambiguità appare in tutta la sua forza nel settimo episodio, “Sin Salida” in cui pare che il cartello sia ormai in ginocchio, invece no, in Narcos nulla è come appare. Le tessere del mosaico sembrano combaciare perfettamente, una talpa, Jorge, responsabile della sicurezza del cartello, così vicino al bersaglio da conoscerne ogni movimento, un uomo l’agente Peña, tanto ossessionato dalla sua guerra da farne ragione di vita, una squadra addestrata, coesa e pronta. Basta poco però, un impercettibile soffio di vento per sparigliare quelle tessere.
La narrazione gioca con lo spettatore e con la suspense. Il pubblico sa cosa sta per accadere, sa che Jorge è lì per facilitare l’operazione eppure la tensione sale grazie al montaggio e al ritmo che non lasciano in pace i personaggi della scena. Da una parte c’è Jorge – un uomo normale in mezzo a delle belve che tenta di rimanere umano, diventando fondamentale per la Dea – che con la stessa tenacia, sagacia e sangue freddo con cui lavorava a fianco di Miguel ora è al servizio del nemico, che lascia trasparire sul suo volto tensione e paura leggibili da noi come timore per il futuro (suo e soprattutto della sua famiglia), dai suoi compagni come ansia per le sorti del Capo. Dall’altra c’è Peña, perfetta rappresentazione delle contraddizioni della lotta alla droga, consapevole che in queste operazioni è necessaria la tempestività, in grado di essere brutale e energico (con il funzionario quando gli impone di scrivere l’indirizzo sul documento) ma capace di abbandonare l’impresa quando è il caso (ordina ai suoi di consegnare i passaporti e di allontanarsi). Da una parte c’è il cartello i cui componenti, come schegge impazzite, telefonano, corrono di qua e di là, si interrogano sul da farsi, dall’altra la polizia che barcolla tra un rimpallo di competenze e responsabilità, tra una legge e un’altra. Polizia e Narcotraffico non sono poi mondi tanto lontani, c’è una qualche contiguità, perfettamente rappresentata dalla angosciante sequenza del bagno in cui l’agente con trapano e piccone tenta di sfondare la parete dietro la quale si nasconde Miguel. Proprio quel muro rappresenta perfettamente la linea di demarcazione labile tra l’uomo e la Dea. Miguel è un uomo finito, o almeno così sembra: “il Re è nudo”, sudato, terrorizzato, occhi sbarrati e maschera d’ossigeno, la pallida immagine di ciò che era, ma….
C’è sempre un ma in Narcos, piccolo, impercettibile ma devastante. Il piccone viene fermato da un ordine perentorio, far cadere l’attrezzo; quei pochi secondi si espandono e proprio lì in quel dilatarsi prende forza l’incoerenza di questo mondo.
Ad essere colpevole non è più il Capo dei narcotrafficanti, ma ad infrangere la legge è la polizia e a questo punto Peña è costretto a dire: “Put it down. We’re done here”. Il paradosso continua, si mettono in dubbio non solo l’operato della Dea ma anche i suoi informatori. A raccontare tutto ciò c’è sempre la solita coerenza del racconto, uno stile inconfondibile che ha segnato gli episodi precedenti, caratterizzato da uno sguardo puntuale sulle dinamiche e le leggi che hanno regolato il narcotraffico negli anni ’90 nel Sud America. Narcos è una serie che ha una grande forza evocativa in grado di rappresentare uomini spietati e assetati di danaro e anche connivenze tra narcotraffico e stato, forte quasi di un interesse documentaristico; e i più onesti soccombono schiacciati in questa “mala ordina”. Quale sarà la sorte di Jorge? Rimasto solo, abbandonato dalla Dea e dalla famiglia, l’uomo è lasciato a se stesso in una casa abitata ormai unicamente dalla paura.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • L’agente e l’informatore
  • La costruzione dell’operazione segreta
  • Il muro che separa Miguel e i poliziotti
  • L’incoerenza del mondo di Narcos in cui i poliziotti devono abbandonare l’impresa per un articolo di legge, lasciando andare Miguel
  • Jorge, uno dei personaggi più riusciti
  • La continua e ingombrante mancanza di Pablo

 

Dopo la morte di Pablo Escobar si poteva temere anche quella di Narcos, invece no, ancora una volta lo show non ha deluso le aspettative. “Sin Salida” è un buonissimo episodio che tiene incollato lo spettatore fino all’ultimo minuto della puntata.

 

Best Laid Plans 3×06 ND milioni – ND rating
Sin Salida 3×07 ND milioni – ND rating

 

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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.

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