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Homeland 5×12 – A False GlimmerTEMPO DI LETTURA 6 min

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Homeland ci saluta, dandoci appuntamento al prossimo anno, congedandosi in punta di piedi con un season finale che non rende onore all’ottima – seppur scostante – stagione andata in onda quest’anno. “A False Glimmer” non fa altro che mettere in evidenza le dinamiche del nuovo Homeland 2.0 post-Brody, diventato progressivamente un telefilm antologico e quindi, per sua natura, legato ad un annuale restart che, per forza di cose, deve necessariamente arrivare nel corso del finale di stagione. Proprio come accadde al termine della quarta stagione, i primi dieci minuti dell’episodio si svolgono in perfetta continuità con il cliff-hanger del precedente. I restanti quarantacinque, invece, appaiono unicamente funzionali alla chiusura delle varie storyline secondarie, peraltro attraverso avvenimenti al limite dell’assurdo – la richiesta fatta a Carrie da Otto During si erge a caposaldo della suddetta categoria – e momenti di rara monotonia o di scarsa empatia – esiste davvero qualcuno a cui interessa qualcosa della sorte di Laura o Jonas? – grazie ai quali la serie riesce a buttare nel cesso tutto il duro lavoro fatto quest’anno nell’organizzazione del complesso sfondo fantapolitico allestito dagli autori.
Fin dalla sua primissima messa in onda, Homeland aveva stregato il suo pubblico grazie alla sua duplice anima: da una parte, fu chiaro fin da subito il potenziale di una serie incentrata su complessi scenari geopolitici e intricate relazioni internazionali; dall’altra, era impossibile non empatizzare con i protagonisti delle vicende, esseri umani alle prese con i propri sentimenti prima che con le conseguenze di intrighi e macchinazioni su scala mondiale. Molte di queste dinamiche appaiono ancora fortemente legate allo show. Dinamiche che permettono alla serie di mostrare una parvenza di continuità malgrado l’immancabile colpo di spugna d’inizio stagione, quali, ad esempio, il travagliato rapporto tra Saul e Carrie o l’impossibilità della Drone Queen di lasciarsi alle spalle la sua carriera da agente e condurre così una vita normale, lontana dagli orrori della guerra e del terrorismo.
Questo dodicesimo episodio si apre in perfetta continuità con lo spasmodico finale del precedente, sfruttandone bene le premesse allo scopo di impostare un ritmo arrembante fin dalle prime battute della puntata, ma purtroppo tradendo ogni aspettativa dopo una decina di minuti soltanto. L’eccessiva rapidità con la quale le vicende si chiudono porta così a vanificare ogni sforzo compiuto dagli autori riguardo la costruzione del personaggio di Qasim, regalandogli un’uscita di scena misera e certamente poco consona al tipo di messaggio che il suo character avrebbe dovuto veicolare. Il coraggio dimostrato dal giovane nell’opporsi ai piani di suo cugino affonda le sue radici in un’incrollabile fede religiosa – fede che in questo caso assume il significato ambivalente di causa e soluzione del problema – eppure agli autori questo particolare sembra sfuggire, tant’è che il povero Qasim finirà per essere ricordato unicamente come “il salvatore” di Peter Quinn.
L’ormai classica impostazione Carrie-centrica, collante tra le diverse vicende messe in scena e i numerosi comprimari della serie, arriva, in questo ultimo appuntamento stagionale, a mostrare il suo limite più grande: l’approssimativa costruzione dei personaggi di contorno, narrativamente stuprati in questo season finale, e svuotati delle loro sfaccettate personalità per poi essere presentati allo spettatore in veste di semplici macchiette. Escludendo il fantastico personaggio interpretato da Miranda Otto – forse vero protagonista della stagione – il resto del cast non sembra poter offrire al pubblico storyline secondarie coerenti e coinvolgenti dal punto di vista narrativo. Personaggi come Laura e Numan, o Jonas e Otto appaiono in questo senso come vere e proprie occasioni sprecate. I primi due risultano, in fin dei conti, due character dalle enormi potenzialità inespresse, messi al centro dell’intera macchina narrativa per poi essere accantonati improvvisamente e relegati a presenze occasionali. Stessa cosa si può dire analizzando il percorso di Jonas o di vecchie conoscenze come Dar Adal, vere e proprie guest star, funzionali solo in determinati momenti della narrazione e utilizzati dagli autori come veri e propri artifizi narrativi. Sulla stessa barca troviamo anche il personaggio di Otto During, giunto al termine della sua storyline con la dichiarazione d’amore/accordo pre-matrimoniale/contratto di fornicazione più fuori luogo nella storia della serialità televisiva. Anche il povero Saul, sebbene in maniera meno incisiva, ha finito per subire le conseguenze di questo generale pressapochismo autoriale. L’imponente personalità di Allison finisce così per sovrastare la figura – un tempo mastodontica – del mentore di Carrie, umiliandolo prima come collega e poi come uomo. Una situazione di rovesciamento dei ruoli che viene ristabilita solo nei minuti finali della stagione, con l’agguato all’automobile di Allison, grazie al quale Saul riconquisterà il suo status di cinico agente della CIA, mostrando nuovamente il lato più oscuro della sua personalità.
E infine c’è lei: Carrie. Questa quinta stagione aveva cercato di mostrarci, in principio, una ragazza distante dalla figura della Drone Queen dello scorso anno. Nuova casa, nuovo fidanzato, una parvenza di nucleo familiare e, finalmente, maggiore tranquillità. Poi, la scintilla che mette in moto la macchina narrativa: l’attentato alla sua vita. Ed ecco che Carrie è nuovamente costretta a seguire quel percorso professionale che costantemente continua a fagocitarla, allontanandola da ciò che le sta davvero a cuore. L’abbandono da parte di Jonas e il successivo addio a Quinn nel suo letto d’ospedale non possono far altro che colpire Carrie nel profondo, mostrandole quanto la cinica agente della CIA disposta a tutto pur di portare a termine la missione, sia ormai storia passata. La Drone Queen imperscrutabile e pronta al sacrificio del singolo pur di ottenere il benessere comune si sgretola lentamente davanti ai suoi occhi e a scandire questo avvenimento sono le stesse parole di Quinn, riportato per un attimo agli occhi, o meglio alle orecchie dello spettatore, grazie alla lettera scritta prima della sua partenza. Un addio senza dubbio strappalacrime che però non rende giustizia ad un character ben sviluppato – per poi essere abbandonato al suo destino – come il suo, lasciato a morire in un letto d’ospedale, e per giunta ridicolizzato da un gioco di luci finale, a metà tra il mistico e il retorico, che può voler dire qualsiasi cosa, ma in realtà non dice nulla.
Fughiamo fin da subito ogni possibile ritorno citando le parole del medico curante: “So, he’s out of surgery. But the hematoma was very large. We had to perform a craniotomy, drain it and repair the bleed. […] It was a bad one. And even if he does recover, the brain damage will be significant“. Se tornerà anche nella prossima stagione (come i più accaniti fan sperano) sarà un miracolo, ma un miracolo degli autori.

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Coraggio nel trattare certe dinamiche fantapolitiche facilmente riconducibili alla realtà
  • Miglior personaggio della stagione: Allison
  • L’evoluzione del personaggio di Carrie
  • Tocca a Saul il lavoro sporco
  • La puntata poteva terminare tranquillamente dopo dieci minuti
  • Ritmi estremamente blandi e scene soporifere
  • Personaggio di Qasim svuotato del suo significato
  • Season finale ciclicamente fiacco
  • La proposta assurda di During
  • L’ignobile sorte riservata al personaggio di Quinn

 

È Natale, e si sa, durante questo periodo siamo tutti più buoni. Dunque ci concediamo di salvare questo noioso, seppur lineare, season finale. Questo inceppamento nella macchina diegetica risulta alquanto familiare ai devoti spettatori della serie, oramai abituati ad una flebile uscita di scena annuale da parte del telefilm, nonostante delle premesse più che ottime. Da serie antologica qual è diventata, in particolare dopo la dipartita di Brody, Homeland ci lascia un po’ con l’amaro in bocca, utilizzando nuovamente il finale di stagione come trampolino di lancio per la prossima annata. Ora è impossibile azzardare previsioni sul prosieguo delle vicende, non ci resta che attendere e sperare in una sesta annata impostata sulla falsa riga della quinta, ma magari con una conclusione un po’ meno soporifera.

 

Our Man In Damascus 5×11 1.84 milioni – 0.6 rating
A False Glimmer 5×12 2.07 milioni – 0.7 rating

 

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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